Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento  penale
n. 325/2011 del registro  modello  16  (n.  61604/2010  del  registro
modello 21 della D.D.A. di Napoli - stralcio  dal  n.  36856/2001)  a
carico del deputato Nicola Cosentino, difeso dagli avv.ti Agostino De
Caro e Stefano Montone, imputato del delitto p. e p. dagli artt.  110
e 416-bis c.p., propone ricorso per  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato, ai  sensi  dell'art.  134  della  Costituzione  e
dell'art. 37 della legge n. 87  dell'11  marzo  1953,  nei  confronti
della  Camera  dei  Deputati  in  relazione  alla  deliberazione   22
settembre  2010,  con  la  quale  l'Assemblea,  in  conformita'  alla
proposta adottata a maggioranza dalla Giunta per  le  autorizzazioni,
negava l'autorizzazione ad utilizzare intercettazioni telefoniche nei
confronti del deputato Nicola Cosentino richiesta dal Giudice per  le
indagini preliminari del Tribunale di Napoli  ai  sensi  dell'art.  6
comma 2 della legge n. 140 del 2003, per i seguenti motivi. 
    1. - A seguito di decreto di  giudizio  immediato  emesso  il  27
gennaio 2011 dal G.i.p. distrettuale ai sensi dell'art. 419  comma  6
c.p.p. (allegato 1), pende  avanti  a  questo  Collegio  procedimento
penale nei confronti del deputato Nicola Cosentino per il delitto  di
cui agli artt. 110 e 416-bis del codice penale. 
    L'imputazione risulta cosi formulata:  «delitto  p.  e  p.  dagli
artt. 110 e 416-bis comma 1, 2, 3, 4, 5, 6  e  8  c.p.  perche',  non
essendo inserito organicamente ed agendo nella  consapevolezza  della
rilevanza  causale   dell'apporto   reso   e   della   finalizzazione
dell'attivita' agli scopi dell'associazione armata  di  tipo  mafioso
denominata «clan dei casalesi» - composta dalle fazioni facenti  capo
alle famiglie Schiavone/Russo, Iovine, Bidognetti, Zagaria ed ai loro
esponenti di vertice e singoli reggenti pro tempore - associazione la
quale, operando  sull'intera  area  della  provincia  di  Caserta  ed
altrove,  si  avvale  della  forza  di  intimidazione   del   vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento ed omerta'  che  ne
deriva, per la realizzazione dei seguenti scopi: 
        il controllo delle attivita' economiche, anche attraverso  la
gestione  monopolistica   di   interi   settori   imprenditoriali   e
commerciali; 
        il   rilascio   di   concessioni    e    di    autorizzazioni
amministrative; 
        l'acquisizione di appalti e servizi pubblici; 
        l'illecito condizionamento dei diritti politici dei cittadini
(ostacolando  il  libero  esercizio  del  voto,  procurando  voti   a
candidati indicati dall'organizzazione in occasione di  consultazioni
elettorali)  e,  per   tale   tramite,   il   condizionamento   della
composizione   e   delle   attivita'   degli    organismi    politici
rappresentativi locali; 
        il  condizionamento  delle  attivita'  delle  amministrazioni
pubbliche, locali e centrali; 
        il reinvestimento speculativo in attivita',  imprenditoriali,
immobiliari,  finanziarie  e  commerciali  degli   ingenti   capitali
derivanti dalle  attivita'  delittuose,  sistematicamente  esercitate
(estorsioni in danno di imprese affidatarie  di  pubblici  e  privati
appalti e di esercenti attivita' commerciali,  traffico  di  sostanze
stupefacenti, truffe, riciclaggio ed altro); 
        assicurare impunita' agli affiliati attraverso il  controllo,
realizzato anche con la corruzione, di organi istituzionali: 
        l'affermazione  del  controllo  egemonico   sul   territorio,
realizzata  non  solo  attraverso  la  contrapposizione  armata   con
organizzazioni criminose rivali nel tempo e la  repressione  violenta
dei contrasti interni ma altresi'  attraverso  condotte  stragiste  e
terroristiche; 
        il conseguimento, infine, per se' e per gli  altri  affiliati
di profitti e vantaggi ingiusti; 
        in   particolare,    intrecciando    rapporti    con    detta
organizzazione nella prospettiva dello scambio «voti contro favori» -
infatti, dal sodalizio  Cosentino  riceveva  sostegno  elettorale  in
occasione delle elezioni a cui partecipava quale candidato  divenendo
consigliere provinciale di Caserta nel 1980, nel  1985  e  nel  1990,
consigliere regionale della Campania nel 1995, deputato per la  lista
«Forza Italia» nel 1996 e confermando la carica di parlamentare anche
in occasione delle tornate elettorali del 2001, 2006 e  2008,  quindi
assumendo gli incarichi politici di coordinatore  di  «Forza  Italia»
per  la  provincia  di  Caserta,  di  vice  coordinatore  e  poi   di
coordinatore del partito «Forza Italia» e,  successivamente,  «Popolo
delle liberta'» nella regione Campania - contribuiva, con continuita'
e  stabilita',  a  rafforzare  vertici  (capi  ed  organizzatori)  ed
attivita' del gruppo mafioso facente capo alle famiglie Bidognetti  e
Schiavone/Russo, soprattutto, attraverso le seguenti condotte: 
          garantiva  il  permanere  dei  rapporti  tra  imprenditoria
mafiosa, pubbliche amministrazioni ed enti a partecipazione pubblica; 
          contribuiva al  riciclaggio  e  reimpiego  delle  provviste
finanziarie proveniente dal clan dei casalesi,  proventi  gestiti  da
affiliati in modo riservato, sia scontando  titoli  di  credito,  sia
garantendo l'operativita'  delle  societa'  controllate  dal  clan  e
l'acquisizione di quote societarie da parte degli affiliati o persone
allo stesso legate; 
          creava  e  co-gestiva  monopoli  d'impresa   in   attivita'
controllate dalle famiglie mafiose, quali l'ECO4 - societa'  mista  a
partecipazione mafioso - e nella quale il Cosentino esercitava  -  in
posizione sovraordinata a Giuseppe Valente, Michele Orsi, Sergio Orsi
ed   ai   diversi   soggetti   formalmente   titolari   di   funzioni
amministrative - il  reale  potere  direttivo  e  di  gestione,  cosi
consentendo lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, e  sfruttando
dette attivita' di impresa per attuare la  massiccia  e  continuativa
assunzione di lavoratori e la concessione di incarichi, anche fittizi
o antieconomici, attuati per finalita' di immediato o futuro  scambio
di  utilita'  e  per  scopi   elettorali,   cosi'   incrementando   e
consolidando la posizione dominante, propria e del gruppo mafioso  di
riferimento, nello specifico settore  economico,  e  determinando  la
significativa  alterazione  degli  equilibri  di  natura   economico,
finanziaria e politica; 
          contribuiva  in  modo  decisivo  alla   programmazione   ed
attuazione del progetto finalizzato -  in  particolare  concretizzato
attraverso la societa' consortile a r.l. IMPREGECO, il Consorzio  CE4
e gli  altri  Consorzi  della  Provincia  di  Caserta,  dallo  stesso
controllati  -  a  realizzare,  nella  regione  Campania,  un   ciclo
integrato  dei  rifiuti  alternativo  e   concorrenziale   a   quello
legittimamente gestito dal sistema  FIBE-FISIA  Italiampianti,  cosi'
boicottando le societa' affidatarie al fine di egemonizzare  l'intera
gestione del relativo ciclo economico e comunque  creare  un'illecita
autonomia gestionale a livello provinciale («cd.  provincializzazione
del ciclo rifiuti»), controllando direttamente le  discariche,  luogo
di smaltimento ultimo dei rifiuti, ed attivandosi nel  progettare  la
costruzione e gestione di un termovalorizzatore, strumentalizzando le
attivita'  del  Commissariato  di  Governo  per  l'Emergenza  rifiuti
all'uopo necessarie; 
          assicurava     il     perpetuarsi      delle      dinamiche
economico-criminali, esemplificativamente condizionando le  attivita'
ispettive della Commissione di Accesso per lo scioglimento del Comune
di Mondragone per infiltrazione mafiosa e  le  procedure  prefettizie
dirette al rilascio delle certificazioni  antimafia,  come  nel  caso
della procedura riguardante l'ECO4  S.p.a.,  e  relative  risoluzioni
condotte decisive per la tenuta e lo sviluppo del programma; 
    Condotta delittuosa perdurante, avvenuta in provincia di  Caserta
ed altre localita'. ». 
    All'udienza del 18 aprile 2011 il P.M. ha depositato  documentata
memoria (allegato 2), chiedendo che il Tribunale sollevi conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della  Camera  dei
Deputati in relazione alla deliberazione 22 settembre  2010,  con  la
quale  veniva  negata  l'autorizzazione  ad  utilizzare   quarantasei
conversazioni  telefoniche  intercettate   coinvolgenti   casualmente
l'onorevole Cosentino. La Difesa ha chiesto termine e alla successiva
udienza del 2 maggio 2011 si e' opposta alla richiesta, pur rilevando
che le intercettazioni in questione avrebbero «un valore neutro»: 
        «... Difensore (Avv. De Caro) - Signor Presidente  e  signori
del Tribunale, io ed il collega ci siamo divisi i compiti in  maniera
da non ripetere alcun  argomento  all'Eccellentissimo  Tribunale.  Il
primo problema su cui eravamo chiamati ad interloquire...  lo  faccio
in questa sede anche se il problema  del  conflitto  di  attribuzioni
sollevato dal Pubblico Ministero potrebbe anche essere sciolto in  un
secondo momento, pero' avendolo posto  e'  giusto  che  il  Tribunale
abbia  un  quadro  generale.  poi  stabilira'  quando  sciogliere  la
riserva. Il primo problema e' quello del  conflitto  di  attribuzioni
tra poteri dello Stato sollevato dai rappresentanti dell'ufficio  del
Pubblico  Ministero  in  relazione  a   determinate   intercettazioni
telefoniche per le  quali  non  vi  e'  stata  l'autorizzazione,  pur
richiesta, da parte Alla Camera dei Deputati,  che  e'  il  ramo  del
Parlamento ove siede l'onorevole Nicola Cosentino. Signor  Presidente
e signori del Tribunale, gia'  avanti  al  Giudice  per  le  indagini
preliminari che ci  richiedeva  di  interloquire  sul  punto  abbiamo
sostanzialmente detto che non avevamo problemi di rilevanza di queste
intercettazioni, quindi per quanto ci riguarda  sono  intercettazioni
che hanno un valore neutro, per cui hanno poco significato dal  punto
di vista oggettivo. Ed e' la  tesi  che  noi  continuiamo  a  portare
avanti, pero' giacche' siamo chiamati ad interloquire su un  problema
che a questo punto significa rispetto di una decisione di  un  organo
costituzionale legittimamente adito in relazione  a  questo  profilo,
abbiamo il dovere di interloquire, rappresentando all'Eccellentissimo
Tribunale   che   la   Camera   dei   Deputati   non   ha    concesso
l'autorizzazione,  peraltro   in   maniera   coerente   rispetto   al
provvedimento con il quale aveva negato  l'esecuzione  dell'ordinanza
di custodia cautelare in virtu' della ritenuta sussistenza del  fumus
persecutionis in danno  dell'onorevole  Cosentino,  ha  espresso  una
valutazione assolutamente coerente, peraltro - a nostro giudizio - in
linea con la sentenza famosa 188/2010 della Corte costituzionale.  Ha
concluso in maniera coerente con  quella  che  era  la  deliberazione
assunta dalla Camera dei Deputati in ordine all'ordinanza di custodia
cautelare, ritenendo la sussistenza del fumus persecutionis inteso in
senso oggettivo  come  ricerca  dell'eventuale  intento  persecutorio
delle  persone  che  compongono  l'ufficio  giudiziario   precedente,
eccetera eccetera. Era questa la ragione per cui la Camera,  fondando
il suo giudizio su tre criteri...  la  stretta  correlazione  con  la
precedente liberazione in  ordine  all'esecuzione  dell'ordinanza  di
custodia cautelare, sulla mancanza di profili di novita'  rispetto  a
quella valutazione, quindi non e' un giudizio di rilevanza probatoria
ma di novita' rispetto a quella  deliberazione  e  la  risalenza  del
tempo delle  conversazioni  captate  e  la  fragilita'  dell'impianto
accusatorio, che ovviamente nasce da un  giudizio  sulla  sussistenza
del fumus persecutionis. Signor Presidente e signori  del  Tribunale,
io non anticipo quello  che  dira'  il  collega  Montone  perche'  mi
attengo strettamente alla divisione dei compiti che noi difensori  ci
siamo  dati  proprio  per  evitare  perdite  di  tempo.  Devo   pero'
rappresentare subito, ed e' questa una delle ragioni che la Camera ha
preso in considerazione e per negare l'esecuzione  dell'ordinanza  di
cautelare e per negare l'utilizzazione delle intercettazioni, che noi
abbiamo avuto una attivita' investigativa che e'  durata  molto  piu'
dei due anni massimi previsti dalla legge, anzi e'  durata  16  anni,
perche' una serie di interrogatori che dovevano imporre  l'iscrizione
del nome dell'onorevole Nicola  Cosentino  nel  registro  notizie  di
reato risalgono  al  1995/96.  Noi  conosciamo  l'orientamento  delle
Sezioni Unite,  conosciamo  anche  pero'  la  dottrina  sul  punto  e
riteniamo che questi problemi sono  problemi  che  noi  doverosamente
dobbiamo porre al  Tribunale.  Poi  come  sempre  ci  rimetteremo  al
Giudice che decidera'. Ecco perche' la Camera fa riferimento  ad  una
risalenza nel tempo. Per quanto riguarda questa specifica  questione,
pur rimettendoci senza alcun dubbio  alla  decisione  del  Tribunale,
come ovvio  che  sia,  rappresentiamo  che  bisogna  evitare  che  il
conflitto  di  attribuzioni  finisca  per  essere  non   quello   che
naturalmente e', cioe' il sollevare un problema dr attribuzione reale
ma una sorta di impugnazione anomala, non prevista, nei confronti  di
un provvedimento della Camera dei Deputati nella specie,  dell'organo
politico. Questo voi non lo  dovete  a  mio  giudizio  consentire...»
(verbale stenotipico 2.5.1 1, pagg. 7-9). 
    Protrattosi il contraddittorio tra le parti sui  piu'  ampi  temi
relativi alla richiesta di prove articolata dal P.M., con concessione
di termine per il deposito di memorie e documenti, all'udienza del 30
maggio 2011 il Collegio  ha  respinto  la  preliminare  eccezione  di
inutilizzabilita' degli atti di indagine  avanzata  dalla  Difesa  in
relazione  al  lamentato  ritardo  dell'iscrizione   del   nominativo
dell'imputato nel registro delle  notizie  di  reato.  Sul  punto  il
Collegio si e' conformato all'orientamento  della  giurisprudenza  di
legittimita', piu' volte ribadito dalle Sezioni Unite, secondo cui il
termine di durata delle indagini preliminari decorre  dalla  data  in
cui il pubblico ministero ha iscritto nel registro delle  notizie  di
reato il nome della persona cui il reato e' attribuito, senza che  al
giudice sia consentito stabilire una diversa decorrenza (cfr.  SS.UU.
Lattanzi del 2009 e Tammaro del 2000). 
    Il Collegio, poi, ha  ritenuto  non  rilevante  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 405 comma 2 del codice di  rito
prospettata in via subordinata dalla  Difesa,  osservando  che  nella
specie, secondo  l'accusa  formulata  dal  P.M.,  si  tratterebbe  di
«condotta delittuosa perdurante»  caratterizzata  da  «continuita'  e
stabilita'» del  contributo  offerto  dall'imputato  all'associazione
camorristica e, dunque, di  un  reato  permanente  per  il  quale  le
indagini potevano comunque legittimamente proseguire (Cass. Sez.  VI,
n. 38865 del 7  ottobre  2008  dep.  15  ottobre  2008,  Rv.  241751,
Magri'). 
    2.  -  Superate  nei  sensi  indicati  le  preliminari  questioni
proposte dalla Difesa,  va  esaminata  l'istanza  avanzata  dal  P.M.
perche' sia sollevato conflitto di  attribuzione  in  relazione  alla
deliberazione 22 settembre 2010 della Camera  dei  deputati,  con  la
quale veniva negata l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni
telefoniche di cui trattasi. 
    3. - Quanto alla legittimazione a sollevare il conflitto, risulta
che  il  P.M.  aveva  inizialmente  proposto  l'istanza  al   Giudice
dell'udienza preliminare, che era investito della richiesta di rinvio
a giudizio 23 dicembre 2010.  Peraltro,  con  atto  26  gennaio  2011
l'imputato rinunziava all'udienza preliminare e chiedeva il  giudizio
immediato ai sensi dell'art. 419, comma 5 del codice di rito, per cui
il G.u.p. provvedeva in tal senso in osservanza della disposizione di
cui al comma 6 del citato  articolo;  quindi,  con  provvedimento  31
gennaio 2011 (allegato 3),  riteneva  e  dichiarava  di  non  doversi
pronunziare in  ordine  al  prospettato  conflitto  di  attribuzioni,
perche'  non  piu'  investito  della   titolarita'   della   funzione
giurisdizionale e, dunque,  non  piu'  legittimato  ad  esprimere  la
volonta' del potere cui appartiene. 
    Instauratasi la  fase  dibattimentale  del  procedimento,  questo
Tribunale, quale autorita'  giudiziaria  chiamata  a  decidere  sulla
responsabilita'  penale  dell'imputato  e,   dunque,   a   dichiarare
definitivamente  la  volonta'  del  potere  cui  appartiene,  e'   da
ritenersi legittimato a sollevare il conflitto di attribuzioni. 
    4. - Al fine  di  una  ricostruzione  dell'iter  procedurale,  va
richiamata l'ordinanza 7 gennaio 2010 con la quale,  su  istanza  del
P.M. (allegato 4), il G.i.p.  distrettuale  ebbe  a  richiedere  alla
Camera dei Deputati, ai sensi dell'art. 6 comma 2 della legge n.  140
del 20 giugno 2003, l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni
(allegato 5). In tale ordinanza  il  Giudice  con  ampia  e  puntuale
motivazione, che deve aversi per qui trascritta,  dava  atto  che  le
intercettazioni di cui trattasi erano state regolarmente  autorizzate
nei confronti di terzi ed evidenziava il carattere fortuito e casuale
della captazione del parlamentare, escludendo l'ipotesi  di  elusione
dell'obbligo  di  richiedere  l'autorizzazione  preventiva  ai  sensi
dell'art. 4 della legge n. 140/2003; premessa  poi  una  analisi  dei
concetti normativi di rilevanza e necessita' di  utilizzazione  delle
intercettazioni di cui all'art. 6 della  citata  legge,  il  Giudice,
nell'ordinanza in parola,  passava  a  una  dettagliata  e  specifica
valutazione del contenuto  delle  intercettazioni  di  cui  trattasi,
concludendo per la necessita' della loro utilizzazione  in  relazione
alla regiudicanda. 
    Vanno altresi' richiamati gli  atti  della  Camera  dei  Deputati
relativi all'esame della richiesta del G.i.p. da parte  della  Giunta
per le autorizzazioni e alla  deliberazione  dell'Assemblea  con  cui
veniva approvata  la  proposta  di  diniego  dell'autorizzazione  del
Relatore per la maggioranza (allegato 6). 
    5. - Le ragioni del diniego dell'autorizzazione ad utilizzare  le
intercettazioni di cui trattasi devono logicamente individuarsi nella
relazione di maggioranza dell'onorevole Lo Presti, la cui proposta fu
approvata dall'Assemblea. 
    Cio'  posto,  ad  avviso  del  Collegio,  meritano  adesione   le
osservazioni  critiche  del  P.M.  in  ordine  ai   criteri   seguiti
nell'esame della richiesta e  alle  ragioni  che  hanno  ispirato  la
decisione della Camera. 
    Invero, sintomatico di una deviazione dai criteri di legge appare
gia' l'esordio delle «considerazioni di metodo», laddove il  Relatore
di maggioranza afferma che «l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del
2003 ...non detta un criterio, ma rimette la concessione o il diniego
dell'autorizzazione ad una decisione dell'Assemblea», la quale  «puo'
scegliere il criterio e dimostrarne, secondo la propria  elaborazione
politica e concettuale. la  ragionevolezza».  Come  ha  ricordato  il
P.M., codesta onorevole Corte con la sentenza  n.  188  del  2010  ha
nitidamente   individuato   l'ambito   di   valutazione   dell'organo
parlamentare  in  materia  di  autorizzazione  all'utilizzazione   di
intercettazioni   coinvolgenti   casualmente   un   proprio   membro,
osservando che «la  Camera  deve  poter  rilevare,  dall'esame  della
richiesta  (e  degli  eventuali  allegati)  che  sussistono  sia   il
requisito, per cosi' dire,  negativo  dell'assenza  di  ogni  intento
persecutorio o strumentale della richiesta,  sia  quello,  per  cosi'
dire, positivo della  affermata  necessita'  dell'atto,  motivata  in
termini di non implausibilita'». 
    Anche  il  richiamo   della   relazione   di   maggioranza   alla
deliberazione dell'Assemblea in data 10 dicembre 2009,  con  cui  era
stata negata l'autorizzazione all'arresto dell'imputato,  non  appare
corretto nella misura in cui prospetta un «nesso  con  la  precedente
deliberazione ...stretto a tal punto che sarebbe ...  contraddittorio
decidere diversamente». Come ha osservato  il  P.M.,  «si  tratta  di
valutazioni  ontologicamente  diverse  ed  ancorate  al  rispetto  di
criteri e requisiti niente affatto coincidenti», poiche', «in tema di
valutazione di  provvedimento  cautelare  emesso  nei  confronti  del
parlamentare, l'Assemblea, ove non ravvisi un intento persecutorio  o
strumentale perseguito attraverso la emissione dell'atto  coercitivo,
procede ad un esame  della  attitudine  del  compendio  indiziario  a
fondare l'atto cautelare»; mentre, «in tema  di  autorizzazione  alla
utilizzazione  di   attivita'   investigativa   nei   confronti   del
parlamentare, la valutazione ...riguarda l'atto di indagine ...ed  e'
ancorata  unicamente  ai  parametri  della  assenza  del  c.d.  fumus
persecutionis e della  necessita'  investigativa  della  acquisizione
dell'atto di indagine». 
    Non  corretta  appare  altresi'  l'affermazione  contenuta  nella
relazione di maggioranza secondo cui le intercettazioni in questione,
afferenti a conversazioni avvenute tra il deputato Cosentino ed altre
persone fra il 2002 e il 2004, sono «elementi ormai  molto  risalenti
nel tempo e la cui idoneita' probatoria deve ritenersi in gran  parte
scemata».  Al  riguardo  il  P.M.   ha   esattamente   rilevato   che
«l'argomentazione ...fa riferimento ad  una  categoria  assolutamente
sconosciuta  alla  scienza  processual-penalistica  in  quanto,   per
definizione, l'indizio o l'elemento di  prova  non  e'  destinato  ad
affievolirsi o a scemare,  cioe'  non  perde  la  propria  attitudine
dimostrativa del fatto, a causa del trascorrere  del  tempo»  e  «una
prova acquisita anche moltissimo tempo prima della  sua  valutazione,
anche in epoca remotissima, restera' pur sempre una  prova»,  poiche'
«il codice di rito non assume il trascorrere del tempo come  elemento
di valutazione della prova». «Anzi», come  pure  rilevato  dal  P.M.,
«nel caso di specie, proprio perche' le conversazioni  sono  avvenute
nel 2002 e 2004, dunque nel  corso  di  periodo  storico  durante  il
quale, secondo la prospettazione  accusatoria,  si  e'  consumata  la
condotta delittuosa del parlamentare, ovvero  il  contributo  fornito
alla esistenza del gruppo mafioso dei casalesi, la acquisizione delle
intercettazioni appare tanto piu' rilevante e necessaria».  In  altri
termini, l'affermazione contenuta nella relazione non solo sottolinea
il dato, in se' inconferente, relativo all'epoca di esecuzione  delle
intercettazioni e ne fa discendere illogicamente un giudizio negativo
sulla loro efficacia probante, ma non considera che le  conversazioni
intercettate sono comunque pertinenti ai fatti rispetto ai  quali  si
sarebbe concretato, secondo l'accusa, il contestato concorso  esterno
nell'associazione camorristica e, per il carattere obiettivo  che  le
connota, sono tanto piu' necessarie per l'accertamento della verita'. 
    Peraltro,  neppure  puo'  ritenersi  correttamente  valutata   la
correlazione delle conversazioni intercettate con gli altri  elementi
prova acquisiti nel corso delle indagini. Invero, l'affermazione  del
Relatore, secondo cui il contenuto delle  conversazioni  intercettate
«non conferisce profili di novita' alle risultanze dell'esame che  e'
gia' stato svolto a proposito della richiesta di arresto», rivela,  a
ben vedere, un errore metodologico. Al riguardo il P.M. ha  osservato
che «detta argomentazione ...reitera, anzitutto,  una  operazione  di
impropria sovrapposizione di valutazioni  e  giudizi  che  riguardano
sfere  procedimentali  assolutamente  diverse  (la  valutazione   sul
provvedimento cautelare emesso a carico  del  parlamentare  e  quella
sulla acquisizione di specifico  atto  di  indagine  coinvolgente  il
parlamentare)»  e,  «in  secondo   luogo,   introduce   un   criterio
valutativo, quello attinente i  profili  di  novita'  dell'indizio  o
prova, che esorbita dalle competenze dell'organo  parlamentare,  come
se la autorizzazione alla utilizzazione della  prova  potesse  essere
concessa   solo   in   relazione   ad   acquisizioni    investigative
assolutamente nuove, inedite, con esclusione, certamente  arbitraria,
di  acquisizioni  che   arricchiscono,   rafforzano,   completano   o
confermano il quadro indiziario gia' esistente». 
    La mancata valutazione  della  correlazione  delle  conversazioni
intercettate con gli altri elementi prova acquisiti nel  corso  delle
indagini  ed  in  epoca  piu'  recente  ha  verosimilmente   ispirato
l'ulteriore osservazione contenuta nella  relazione  di  maggioranza,
secondo cui «risulta curioso che  elementi,  che  allora  non  furono
ritenuti idonei a consolidare sospetti a  carico  di  Cosentino  e  a
farlo iscrivere al registro degli indagati come prescrive  l'articolo
330 del  codice  di  procedura  penale,  divengano  oggi  addirittura
fattori necessari per un rinvio a giudizio». Ad avviso del  Collegio,
e' plausibile e per nulla «curioso» che l'acquisizione in epoca  piu'
recente di elementi di prova ritenuti indizianti  abbia  indotto  gli
inquirenti a recuperare e valorizzare  altri  elementi  acquisiti  in
precedenza e a suo tempo giudicati di valenza  probatoria  neutra  o,
comunque, non indiziante. E in tal senso il G.i.p. nella richiesta ai
sensi dell'art. 6 comma 2 della legge n. 140/2003 aveva pur segnalato
«come la  valenza  probatoria  delle  conversazioni  coinvolgenti  il
parlamentare, concentrandosi sul profilo  dei  rapporti  intrattenuti
dal medesimo con i fratelli Orsi e con gli enti  collettivi  da  loro
controllati (Ecoquattro e Impregeco), non fosse emersa  prima  che  a
detti  rapporti  le  dichiarazioni  del  collaboratore  di  giustizia
Vassallo  Gaetano  consentissero  di  assegnare  rilievo   ai   sensi
dell'ipotesi delittuosa configurata». 
    Ancora, nella relazione si afferma che il dato,  emergente  dalle
intercettazioni, relativo  ai  contatti  dell'imputato  con  soggetti
quali il Valente e i fratelli Orsi «non puo'  ritenersi  decisivo  ai
fini della colpevolezza del Cosentino». Tale affermazione non  appare
conferente e pero' rivela che la  decisione  della  Camera  e'  stata
ispirata da  un  criterio  non  previsto  dalla  legge  n.  140/2003,
poiche', come osservato dal P.M., vi e' «radicale  diversita'  tra  i
requisiti di necessita' e quello di decisivita', facendo quest'ultimo
riferimento  ad  una  prova  che,  da   sola,   possiede   attitudine
dimostrativa della responsabilita' della persona per  il  fatto-reato
contestato». 
    Il P.M. ha pure ricordato che nella  sentenza  n.  188  del  2010
codesta  onorevole  Corte  ha  ritenuto,  appunto,  che   «certamente
impropria sarebbe una pretesa di limitare l'autorizzazione solo  alle
prove cui sia attribuibile il carattere  della  decisivita',  al  cui
concetto non puo' esser ridotto e circoscritto quello di necessita'». 
    Infine, anche la conclusione della relazione di maggioranza circa
«la  fragilita'  dell'impianto  accusatorio»  appare  indicativa  del
ricorso a un criterio di valutazione improprio, perche' estraneo alla
previsione della legge, che fa riferimento esclusivo alla  necessita'
della acquisizione della specifica prova a fini processuali. 
    In conclusione, reputa il Collegio che  la  Camera  dei  deputati
abbia esorbitato  dalle  proprie  attribuzioni  ed  abbia  esercitato
poteri che spettano esclusivamente all'Autorita' giudiziaria. 
    Per  i  motivi  esposti,  il  Collegio  chiede   che   la   Corte
costituzionale,  ritenuta  l'ammissibilita'   del   ricorso,   voglia
risolvere il conflitto, dichiarando che non spetta  alla  Camera  dei
deputati negare l'autorizzazione all'utilizzazione processuale  delle
intercettazioni   telefoniche   secondo    un    criterio    all'uopo
discrezionalmente prescelto, ne' in base ai  criteri  che  presiedono
all'autorizzazione all'arresto ovvero in base all'epoca di esecuzione
delle intercettazioni,  alla  ravvisata  mancanza  di  novita'  o  di
decisivita' del relativo apporto probatorio e neppure  in  base  alla
ritenuta fragilita' dell'impianto accusatorio. Il Collegio chiede che
la  Corte  costituzionale  voglia   conseguentemente   annullare   la
deliberazione della Camera dei Deputati del  22  settembre  2010  con
rinvio allo stesso organo parlamentare per una nuova deliberazione.