Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento penale n. 325/2011 del registro modello 16 (n. 61604/2010 del registro modello 21 della D.D.A. di Napoli - stralcio dal n. 36856/2001) a carico del deputato Nicola Cosentino, difeso dagli avv.ti Agostino De Caro e Stefano Montone, imputato del delitto p. e p. dagli artt. 110 e 416-bis c.p., propone ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 37 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, nei confronti della Camera dei Deputati in relazione alla deliberazione 22 settembre 2010, con la quale l'Assemblea, in conformita' alla proposta adottata a maggioranza dalla Giunta per le autorizzazioni, negava l'autorizzazione ad utilizzare intercettazioni telefoniche nei confronti del deputato Nicola Cosentino richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ai sensi dell'art. 6 comma 2 della legge n. 140 del 2003, per i seguenti motivi. 1. - A seguito di decreto di giudizio immediato emesso il 27 gennaio 2011 dal G.i.p. distrettuale ai sensi dell'art. 419 comma 6 c.p.p. (allegato 1), pende avanti a questo Collegio procedimento penale nei confronti del deputato Nicola Cosentino per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis del codice penale. L'imputazione risulta cosi formulata: «delitto p. e p. dagli artt. 110 e 416-bis comma 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 c.p. perche', non essendo inserito organicamente ed agendo nella consapevolezza della rilevanza causale dell'apporto reso e della finalizzazione dell'attivita' agli scopi dell'associazione armata di tipo mafioso denominata «clan dei casalesi» - composta dalle fazioni facenti capo alle famiglie Schiavone/Russo, Iovine, Bidognetti, Zagaria ed ai loro esponenti di vertice e singoli reggenti pro tempore - associazione la quale, operando sull'intera area della provincia di Caserta ed altrove, si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omerta' che ne deriva, per la realizzazione dei seguenti scopi: il controllo delle attivita' economiche, anche attraverso la gestione monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali; il rilascio di concessioni e di autorizzazioni amministrative; l'acquisizione di appalti e servizi pubblici; l'illecito condizionamento dei diritti politici dei cittadini (ostacolando il libero esercizio del voto, procurando voti a candidati indicati dall'organizzazione in occasione di consultazioni elettorali) e, per tale tramite, il condizionamento della composizione e delle attivita' degli organismi politici rappresentativi locali; il condizionamento delle attivita' delle amministrazioni pubbliche, locali e centrali; il reinvestimento speculativo in attivita', imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali degli ingenti capitali derivanti dalle attivita' delittuose, sistematicamente esercitate (estorsioni in danno di imprese affidatarie di pubblici e privati appalti e di esercenti attivita' commerciali, traffico di sostanze stupefacenti, truffe, riciclaggio ed altro); assicurare impunita' agli affiliati attraverso il controllo, realizzato anche con la corruzione, di organi istituzionali: l'affermazione del controllo egemonico sul territorio, realizzata non solo attraverso la contrapposizione armata con organizzazioni criminose rivali nel tempo e la repressione violenta dei contrasti interni ma altresi' attraverso condotte stragiste e terroristiche; il conseguimento, infine, per se' e per gli altri affiliati di profitti e vantaggi ingiusti; in particolare, intrecciando rapporti con detta organizzazione nella prospettiva dello scambio «voti contro favori» - infatti, dal sodalizio Cosentino riceveva sostegno elettorale in occasione delle elezioni a cui partecipava quale candidato divenendo consigliere provinciale di Caserta nel 1980, nel 1985 e nel 1990, consigliere regionale della Campania nel 1995, deputato per la lista «Forza Italia» nel 1996 e confermando la carica di parlamentare anche in occasione delle tornate elettorali del 2001, 2006 e 2008, quindi assumendo gli incarichi politici di coordinatore di «Forza Italia» per la provincia di Caserta, di vice coordinatore e poi di coordinatore del partito «Forza Italia» e, successivamente, «Popolo delle liberta'» nella regione Campania - contribuiva, con continuita' e stabilita', a rafforzare vertici (capi ed organizzatori) ed attivita' del gruppo mafioso facente capo alle famiglie Bidognetti e Schiavone/Russo, soprattutto, attraverso le seguenti condotte: garantiva il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa, pubbliche amministrazioni ed enti a partecipazione pubblica; contribuiva al riciclaggio e reimpiego delle provviste finanziarie proveniente dal clan dei casalesi, proventi gestiti da affiliati in modo riservato, sia scontando titoli di credito, sia garantendo l'operativita' delle societa' controllate dal clan e l'acquisizione di quote societarie da parte degli affiliati o persone allo stesso legate; creava e co-gestiva monopoli d'impresa in attivita' controllate dalle famiglie mafiose, quali l'ECO4 - societa' mista a partecipazione mafioso - e nella quale il Cosentino esercitava - in posizione sovraordinata a Giuseppe Valente, Michele Orsi, Sergio Orsi ed ai diversi soggetti formalmente titolari di funzioni amministrative - il reale potere direttivo e di gestione, cosi consentendo lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, e sfruttando dette attivita' di impresa per attuare la massiccia e continuativa assunzione di lavoratori e la concessione di incarichi, anche fittizi o antieconomici, attuati per finalita' di immediato o futuro scambio di utilita' e per scopi elettorali, cosi' incrementando e consolidando la posizione dominante, propria e del gruppo mafioso di riferimento, nello specifico settore economico, e determinando la significativa alterazione degli equilibri di natura economico, finanziaria e politica; contribuiva in modo decisivo alla programmazione ed attuazione del progetto finalizzato - in particolare concretizzato attraverso la societa' consortile a r.l. IMPREGECO, il Consorzio CE4 e gli altri Consorzi della Provincia di Caserta, dallo stesso controllati - a realizzare, nella regione Campania, un ciclo integrato dei rifiuti alternativo e concorrenziale a quello legittimamente gestito dal sistema FIBE-FISIA Italiampianti, cosi' boicottando le societa' affidatarie al fine di egemonizzare l'intera gestione del relativo ciclo economico e comunque creare un'illecita autonomia gestionale a livello provinciale («cd. provincializzazione del ciclo rifiuti»), controllando direttamente le discariche, luogo di smaltimento ultimo dei rifiuti, ed attivandosi nel progettare la costruzione e gestione di un termovalorizzatore, strumentalizzando le attivita' del Commissariato di Governo per l'Emergenza rifiuti all'uopo necessarie; assicurava il perpetuarsi delle dinamiche economico-criminali, esemplificativamente condizionando le attivita' ispettive della Commissione di Accesso per lo scioglimento del Comune di Mondragone per infiltrazione mafiosa e le procedure prefettizie dirette al rilascio delle certificazioni antimafia, come nel caso della procedura riguardante l'ECO4 S.p.a., e relative risoluzioni condotte decisive per la tenuta e lo sviluppo del programma; Condotta delittuosa perdurante, avvenuta in provincia di Caserta ed altre localita'. ». All'udienza del 18 aprile 2011 il P.M. ha depositato documentata memoria (allegato 2), chiedendo che il Tribunale sollevi conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei Deputati in relazione alla deliberazione 22 settembre 2010, con la quale veniva negata l'autorizzazione ad utilizzare quarantasei conversazioni telefoniche intercettate coinvolgenti casualmente l'onorevole Cosentino. La Difesa ha chiesto termine e alla successiva udienza del 2 maggio 2011 si e' opposta alla richiesta, pur rilevando che le intercettazioni in questione avrebbero «un valore neutro»: «... Difensore (Avv. De Caro) - Signor Presidente e signori del Tribunale, io ed il collega ci siamo divisi i compiti in maniera da non ripetere alcun argomento all'Eccellentissimo Tribunale. Il primo problema su cui eravamo chiamati ad interloquire... lo faccio in questa sede anche se il problema del conflitto di attribuzioni sollevato dal Pubblico Ministero potrebbe anche essere sciolto in un secondo momento, pero' avendolo posto e' giusto che il Tribunale abbia un quadro generale. poi stabilira' quando sciogliere la riserva. Il primo problema e' quello del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dai rappresentanti dell'ufficio del Pubblico Ministero in relazione a determinate intercettazioni telefoniche per le quali non vi e' stata l'autorizzazione, pur richiesta, da parte Alla Camera dei Deputati, che e' il ramo del Parlamento ove siede l'onorevole Nicola Cosentino. Signor Presidente e signori del Tribunale, gia' avanti al Giudice per le indagini preliminari che ci richiedeva di interloquire sul punto abbiamo sostanzialmente detto che non avevamo problemi di rilevanza di queste intercettazioni, quindi per quanto ci riguarda sono intercettazioni che hanno un valore neutro, per cui hanno poco significato dal punto di vista oggettivo. Ed e' la tesi che noi continuiamo a portare avanti, pero' giacche' siamo chiamati ad interloquire su un problema che a questo punto significa rispetto di una decisione di un organo costituzionale legittimamente adito in relazione a questo profilo, abbiamo il dovere di interloquire, rappresentando all'Eccellentissimo Tribunale che la Camera dei Deputati non ha concesso l'autorizzazione, peraltro in maniera coerente rispetto al provvedimento con il quale aveva negato l'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in virtu' della ritenuta sussistenza del fumus persecutionis in danno dell'onorevole Cosentino, ha espresso una valutazione assolutamente coerente, peraltro - a nostro giudizio - in linea con la sentenza famosa 188/2010 della Corte costituzionale. Ha concluso in maniera coerente con quella che era la deliberazione assunta dalla Camera dei Deputati in ordine all'ordinanza di custodia cautelare, ritenendo la sussistenza del fumus persecutionis inteso in senso oggettivo come ricerca dell'eventuale intento persecutorio delle persone che compongono l'ufficio giudiziario precedente, eccetera eccetera. Era questa la ragione per cui la Camera, fondando il suo giudizio su tre criteri... la stretta correlazione con la precedente liberazione in ordine all'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare, sulla mancanza di profili di novita' rispetto a quella valutazione, quindi non e' un giudizio di rilevanza probatoria ma di novita' rispetto a quella deliberazione e la risalenza del tempo delle conversazioni captate e la fragilita' dell'impianto accusatorio, che ovviamente nasce da un giudizio sulla sussistenza del fumus persecutionis. Signor Presidente e signori del Tribunale, io non anticipo quello che dira' il collega Montone perche' mi attengo strettamente alla divisione dei compiti che noi difensori ci siamo dati proprio per evitare perdite di tempo. Devo pero' rappresentare subito, ed e' questa una delle ragioni che la Camera ha preso in considerazione e per negare l'esecuzione dell'ordinanza di cautelare e per negare l'utilizzazione delle intercettazioni, che noi abbiamo avuto una attivita' investigativa che e' durata molto piu' dei due anni massimi previsti dalla legge, anzi e' durata 16 anni, perche' una serie di interrogatori che dovevano imporre l'iscrizione del nome dell'onorevole Nicola Cosentino nel registro notizie di reato risalgono al 1995/96. Noi conosciamo l'orientamento delle Sezioni Unite, conosciamo anche pero' la dottrina sul punto e riteniamo che questi problemi sono problemi che noi doverosamente dobbiamo porre al Tribunale. Poi come sempre ci rimetteremo al Giudice che decidera'. Ecco perche' la Camera fa riferimento ad una risalenza nel tempo. Per quanto riguarda questa specifica questione, pur rimettendoci senza alcun dubbio alla decisione del Tribunale, come ovvio che sia, rappresentiamo che bisogna evitare che il conflitto di attribuzioni finisca per essere non quello che naturalmente e', cioe' il sollevare un problema dr attribuzione reale ma una sorta di impugnazione anomala, non prevista, nei confronti di un provvedimento della Camera dei Deputati nella specie, dell'organo politico. Questo voi non lo dovete a mio giudizio consentire...» (verbale stenotipico 2.5.1 1, pagg. 7-9). Protrattosi il contraddittorio tra le parti sui piu' ampi temi relativi alla richiesta di prove articolata dal P.M., con concessione di termine per il deposito di memorie e documenti, all'udienza del 30 maggio 2011 il Collegio ha respinto la preliminare eccezione di inutilizzabilita' degli atti di indagine avanzata dalla Difesa in relazione al lamentato ritardo dell'iscrizione del nominativo dell'imputato nel registro delle notizie di reato. Sul punto il Collegio si e' conformato all'orientamento della giurisprudenza di legittimita', piu' volte ribadito dalle Sezioni Unite, secondo cui il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto nel registro delle notizie di reato il nome della persona cui il reato e' attribuito, senza che al giudice sia consentito stabilire una diversa decorrenza (cfr. SS.UU. Lattanzi del 2009 e Tammaro del 2000). Il Collegio, poi, ha ritenuto non rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 405 comma 2 del codice di rito prospettata in via subordinata dalla Difesa, osservando che nella specie, secondo l'accusa formulata dal P.M., si tratterebbe di «condotta delittuosa perdurante» caratterizzata da «continuita' e stabilita'» del contributo offerto dall'imputato all'associazione camorristica e, dunque, di un reato permanente per il quale le indagini potevano comunque legittimamente proseguire (Cass. Sez. VI, n. 38865 del 7 ottobre 2008 dep. 15 ottobre 2008, Rv. 241751, Magri'). 2. - Superate nei sensi indicati le preliminari questioni proposte dalla Difesa, va esaminata l'istanza avanzata dal P.M. perche' sia sollevato conflitto di attribuzione in relazione alla deliberazione 22 settembre 2010 della Camera dei deputati, con la quale veniva negata l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni telefoniche di cui trattasi. 3. - Quanto alla legittimazione a sollevare il conflitto, risulta che il P.M. aveva inizialmente proposto l'istanza al Giudice dell'udienza preliminare, che era investito della richiesta di rinvio a giudizio 23 dicembre 2010. Peraltro, con atto 26 gennaio 2011 l'imputato rinunziava all'udienza preliminare e chiedeva il giudizio immediato ai sensi dell'art. 419, comma 5 del codice di rito, per cui il G.u.p. provvedeva in tal senso in osservanza della disposizione di cui al comma 6 del citato articolo; quindi, con provvedimento 31 gennaio 2011 (allegato 3), riteneva e dichiarava di non doversi pronunziare in ordine al prospettato conflitto di attribuzioni, perche' non piu' investito della titolarita' della funzione giurisdizionale e, dunque, non piu' legittimato ad esprimere la volonta' del potere cui appartiene. Instauratasi la fase dibattimentale del procedimento, questo Tribunale, quale autorita' giudiziaria chiamata a decidere sulla responsabilita' penale dell'imputato e, dunque, a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene, e' da ritenersi legittimato a sollevare il conflitto di attribuzioni. 4. - Al fine di una ricostruzione dell'iter procedurale, va richiamata l'ordinanza 7 gennaio 2010 con la quale, su istanza del P.M. (allegato 4), il G.i.p. distrettuale ebbe a richiedere alla Camera dei Deputati, ai sensi dell'art. 6 comma 2 della legge n. 140 del 20 giugno 2003, l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni (allegato 5). In tale ordinanza il Giudice con ampia e puntuale motivazione, che deve aversi per qui trascritta, dava atto che le intercettazioni di cui trattasi erano state regolarmente autorizzate nei confronti di terzi ed evidenziava il carattere fortuito e casuale della captazione del parlamentare, escludendo l'ipotesi di elusione dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva ai sensi dell'art. 4 della legge n. 140/2003; premessa poi una analisi dei concetti normativi di rilevanza e necessita' di utilizzazione delle intercettazioni di cui all'art. 6 della citata legge, il Giudice, nell'ordinanza in parola, passava a una dettagliata e specifica valutazione del contenuto delle intercettazioni di cui trattasi, concludendo per la necessita' della loro utilizzazione in relazione alla regiudicanda. Vanno altresi' richiamati gli atti della Camera dei Deputati relativi all'esame della richiesta del G.i.p. da parte della Giunta per le autorizzazioni e alla deliberazione dell'Assemblea con cui veniva approvata la proposta di diniego dell'autorizzazione del Relatore per la maggioranza (allegato 6). 5. - Le ragioni del diniego dell'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni di cui trattasi devono logicamente individuarsi nella relazione di maggioranza dell'onorevole Lo Presti, la cui proposta fu approvata dall'Assemblea. Cio' posto, ad avviso del Collegio, meritano adesione le osservazioni critiche del P.M. in ordine ai criteri seguiti nell'esame della richiesta e alle ragioni che hanno ispirato la decisione della Camera. Invero, sintomatico di una deviazione dai criteri di legge appare gia' l'esordio delle «considerazioni di metodo», laddove il Relatore di maggioranza afferma che «l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 ...non detta un criterio, ma rimette la concessione o il diniego dell'autorizzazione ad una decisione dell'Assemblea», la quale «puo' scegliere il criterio e dimostrarne, secondo la propria elaborazione politica e concettuale. la ragionevolezza». Come ha ricordato il P.M., codesta onorevole Corte con la sentenza n. 188 del 2010 ha nitidamente individuato l'ambito di valutazione dell'organo parlamentare in materia di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni coinvolgenti casualmente un proprio membro, osservando che «la Camera deve poter rilevare, dall'esame della richiesta (e degli eventuali allegati) che sussistono sia il requisito, per cosi' dire, negativo dell'assenza di ogni intento persecutorio o strumentale della richiesta, sia quello, per cosi' dire, positivo della affermata necessita' dell'atto, motivata in termini di non implausibilita'». Anche il richiamo della relazione di maggioranza alla deliberazione dell'Assemblea in data 10 dicembre 2009, con cui era stata negata l'autorizzazione all'arresto dell'imputato, non appare corretto nella misura in cui prospetta un «nesso con la precedente deliberazione ...stretto a tal punto che sarebbe ... contraddittorio decidere diversamente». Come ha osservato il P.M., «si tratta di valutazioni ontologicamente diverse ed ancorate al rispetto di criteri e requisiti niente affatto coincidenti», poiche', «in tema di valutazione di provvedimento cautelare emesso nei confronti del parlamentare, l'Assemblea, ove non ravvisi un intento persecutorio o strumentale perseguito attraverso la emissione dell'atto coercitivo, procede ad un esame della attitudine del compendio indiziario a fondare l'atto cautelare»; mentre, «in tema di autorizzazione alla utilizzazione di attivita' investigativa nei confronti del parlamentare, la valutazione ...riguarda l'atto di indagine ...ed e' ancorata unicamente ai parametri della assenza del c.d. fumus persecutionis e della necessita' investigativa della acquisizione dell'atto di indagine». Non corretta appare altresi' l'affermazione contenuta nella relazione di maggioranza secondo cui le intercettazioni in questione, afferenti a conversazioni avvenute tra il deputato Cosentino ed altre persone fra il 2002 e il 2004, sono «elementi ormai molto risalenti nel tempo e la cui idoneita' probatoria deve ritenersi in gran parte scemata». Al riguardo il P.M. ha esattamente rilevato che «l'argomentazione ...fa riferimento ad una categoria assolutamente sconosciuta alla scienza processual-penalistica in quanto, per definizione, l'indizio o l'elemento di prova non e' destinato ad affievolirsi o a scemare, cioe' non perde la propria attitudine dimostrativa del fatto, a causa del trascorrere del tempo» e «una prova acquisita anche moltissimo tempo prima della sua valutazione, anche in epoca remotissima, restera' pur sempre una prova», poiche' «il codice di rito non assume il trascorrere del tempo come elemento di valutazione della prova». «Anzi», come pure rilevato dal P.M., «nel caso di specie, proprio perche' le conversazioni sono avvenute nel 2002 e 2004, dunque nel corso di periodo storico durante il quale, secondo la prospettazione accusatoria, si e' consumata la condotta delittuosa del parlamentare, ovvero il contributo fornito alla esistenza del gruppo mafioso dei casalesi, la acquisizione delle intercettazioni appare tanto piu' rilevante e necessaria». In altri termini, l'affermazione contenuta nella relazione non solo sottolinea il dato, in se' inconferente, relativo all'epoca di esecuzione delle intercettazioni e ne fa discendere illogicamente un giudizio negativo sulla loro efficacia probante, ma non considera che le conversazioni intercettate sono comunque pertinenti ai fatti rispetto ai quali si sarebbe concretato, secondo l'accusa, il contestato concorso esterno nell'associazione camorristica e, per il carattere obiettivo che le connota, sono tanto piu' necessarie per l'accertamento della verita'. Peraltro, neppure puo' ritenersi correttamente valutata la correlazione delle conversazioni intercettate con gli altri elementi prova acquisiti nel corso delle indagini. Invero, l'affermazione del Relatore, secondo cui il contenuto delle conversazioni intercettate «non conferisce profili di novita' alle risultanze dell'esame che e' gia' stato svolto a proposito della richiesta di arresto», rivela, a ben vedere, un errore metodologico. Al riguardo il P.M. ha osservato che «detta argomentazione ...reitera, anzitutto, una operazione di impropria sovrapposizione di valutazioni e giudizi che riguardano sfere procedimentali assolutamente diverse (la valutazione sul provvedimento cautelare emesso a carico del parlamentare e quella sulla acquisizione di specifico atto di indagine coinvolgente il parlamentare)» e, «in secondo luogo, introduce un criterio valutativo, quello attinente i profili di novita' dell'indizio o prova, che esorbita dalle competenze dell'organo parlamentare, come se la autorizzazione alla utilizzazione della prova potesse essere concessa solo in relazione ad acquisizioni investigative assolutamente nuove, inedite, con esclusione, certamente arbitraria, di acquisizioni che arricchiscono, rafforzano, completano o confermano il quadro indiziario gia' esistente». La mancata valutazione della correlazione delle conversazioni intercettate con gli altri elementi prova acquisiti nel corso delle indagini ed in epoca piu' recente ha verosimilmente ispirato l'ulteriore osservazione contenuta nella relazione di maggioranza, secondo cui «risulta curioso che elementi, che allora non furono ritenuti idonei a consolidare sospetti a carico di Cosentino e a farlo iscrivere al registro degli indagati come prescrive l'articolo 330 del codice di procedura penale, divengano oggi addirittura fattori necessari per un rinvio a giudizio». Ad avviso del Collegio, e' plausibile e per nulla «curioso» che l'acquisizione in epoca piu' recente di elementi di prova ritenuti indizianti abbia indotto gli inquirenti a recuperare e valorizzare altri elementi acquisiti in precedenza e a suo tempo giudicati di valenza probatoria neutra o, comunque, non indiziante. E in tal senso il G.i.p. nella richiesta ai sensi dell'art. 6 comma 2 della legge n. 140/2003 aveva pur segnalato «come la valenza probatoria delle conversazioni coinvolgenti il parlamentare, concentrandosi sul profilo dei rapporti intrattenuti dal medesimo con i fratelli Orsi e con gli enti collettivi da loro controllati (Ecoquattro e Impregeco), non fosse emersa prima che a detti rapporti le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vassallo Gaetano consentissero di assegnare rilievo ai sensi dell'ipotesi delittuosa configurata». Ancora, nella relazione si afferma che il dato, emergente dalle intercettazioni, relativo ai contatti dell'imputato con soggetti quali il Valente e i fratelli Orsi «non puo' ritenersi decisivo ai fini della colpevolezza del Cosentino». Tale affermazione non appare conferente e pero' rivela che la decisione della Camera e' stata ispirata da un criterio non previsto dalla legge n. 140/2003, poiche', come osservato dal P.M., vi e' «radicale diversita' tra i requisiti di necessita' e quello di decisivita', facendo quest'ultimo riferimento ad una prova che, da sola, possiede attitudine dimostrativa della responsabilita' della persona per il fatto-reato contestato». Il P.M. ha pure ricordato che nella sentenza n. 188 del 2010 codesta onorevole Corte ha ritenuto, appunto, che «certamente impropria sarebbe una pretesa di limitare l'autorizzazione solo alle prove cui sia attribuibile il carattere della decisivita', al cui concetto non puo' esser ridotto e circoscritto quello di necessita'». Infine, anche la conclusione della relazione di maggioranza circa «la fragilita' dell'impianto accusatorio» appare indicativa del ricorso a un criterio di valutazione improprio, perche' estraneo alla previsione della legge, che fa riferimento esclusivo alla necessita' della acquisizione della specifica prova a fini processuali. In conclusione, reputa il Collegio che la Camera dei deputati abbia esorbitato dalle proprie attribuzioni ed abbia esercitato poteri che spettano esclusivamente all'Autorita' giudiziaria. Per i motivi esposti, il Collegio chiede che la Corte costituzionale, ritenuta l'ammissibilita' del ricorso, voglia risolvere il conflitto, dichiarando che non spetta alla Camera dei deputati negare l'autorizzazione all'utilizzazione processuale delle intercettazioni telefoniche secondo un criterio all'uopo discrezionalmente prescelto, ne' in base ai criteri che presiedono all'autorizzazione all'arresto ovvero in base all'epoca di esecuzione delle intercettazioni, alla ravvisata mancanza di novita' o di decisivita' del relativo apporto probatorio e neppure in base alla ritenuta fragilita' dell'impianto accusatorio. Il Collegio chiede che la Corte costituzionale voglia conseguentemente annullare la deliberazione della Camera dei Deputati del 22 settembre 2010 con rinvio allo stesso organo parlamentare per una nuova deliberazione.